lunedì 27 marzo 2017

UNA VITA DI PEZZA - Racconto di Elda Ciampi







Quante ne ho passate su quella mensola! Circa quarant’anni su uno scaffale ad osservare le mosche volare sui miei boccoli d’oro impolverati. Sono stata fabbricata in Messico. Indossavo e indosso ancora un vestitino quadrettato, con inserti rossi e bianchi. Un grembiule cinge il mio pancino imbottito. Ho due bottoni per occhi e tante cicatrici, sparse qua e là. Ho anche tante amiche a fianco a me, anch’esse vecchie e impolverate. Circa quarant’anni fa questa piccola bottega era aperta. Sentivo il campanellino suonare ogni volta che qualcuno metteva piede qua dentro. Era gestito da una donnina deliziosa. Vestiva sempre con pantaloni stretti, talvolta paiettati, anni ’70. La guardavo sempre dalla stessa angolazione e infatti osservavo il suo grazioso nasino all’insù, sempre eccessivamente incipriato. Suo marito arrivava sempre in ritardo perché andava a comprare la stoffa, i nastri e i bottoncini. Loro due erano la mia famiglia.
Ogni settimana mi appendevano un cartellino: 30 lire, 20 lire ecc. Mi sentivo infastidita da quel continuo rumore che faceva la nuova macchina da scrivere, che avevano comprato con tanta gioia. Un giorno però quel rumore cessò. Erano circa le due del pomeriggio quando la saracinesca sbatté sull’asfalto appena rifatto. Mi ci vollero due giorni per capire che la piccola bottega “Ago e filo” aveva chiuso. Solo oggi ho rivisto la luce dai miei occhi, quattro piccoli buchini infastiditi da fili neri che gli passano all’interno. Avevo sentito il rumore della saracinesca arrugginita aprirsi nuovamente. Aveva combattuto contro piogge, grandine, neve e fortissime ondate di calore che portavano sabbia con le leggere pioggerelle estive. La mogliettina e il maritino erano tornati. Un po’ vecchiotti, con le braccia un po’ molli e adesso anche loro avevano delle linee irregolari sul viso, proprio come me. La donnina indossava una gonna larga, forse anni ’80, lui invece un normalissimo jeans. La bottega “Ago e filo” avevo ripreso a lavorare.
Un giorno soleggiato entrò una paffuta bambina. Con le sue guanciotte rosse e un lecca lecca in mano appariva un po’ buffa. La madre, una donna slanciata, alta e mora, le teneva teneramente la mano destra, mentre la sinistra stringeva fortemente una costosa borsetta nera. La donnina con voce educata e dolce chiese alla piccolina cosa volesse prendere dentro al negozietto. A quel punto la bambina iniziò a guardarsi intorno come un soldato che deve prendere la mira, in quel caso il bersaglio ero io. “Voglio quella”, affermò con voce infantile. Il maritino mi prese per i capelli e disse:” proprio questa?”, e strappò via il cartellino con su scritto 20 lire. Mi gettò dentro ad un sacchetto odorante di muffa. Uscimmo dal negozio tutte e tre ma me ne andai con la tristezza di non poter gridare che volevo rimanere nella bottega. Avevo il mal di stomaco, dato che la buffa bambina mi faceva volare come se stessi su un’altalena. Arrivate a casa mi sentivo a disagio. La bambina si chiamava Lauren. Mi portò sopra e mi mise su una mensola di legno cigolante, potevo osservare solo il suo letto, colorato e ordinato. Ero arrabbiata, delusa e oltraggiata, i miei amici mi avevano abbandonato.
Il giorno dopo il mio arrivo mi sentivo già meglio. Lauren mi dava ogni giorno una spolveratina urlandomi in faccia: “è l’ora del bagnetto!”, dopodiché mi inzuppava nella vasca da bagno e mi appendeva ad un filo nel giardino. Faceva freschetto ma era sopportabile. Mi riportava nella casetta graziosa e poi mi sbatteva contro la linea curva chiamata ‘bocca’ il cucchiaino di ferro, gridandomi questa volta: “è l’ora della pappa!”. Cosi continuò fino al giorno successivo. Il quarto giorno cambiò la mia posizione. Adesso mi trovavo nel corridoio. Da lì però osservavo molte più cose. Scrutavo ogni giorno il padre della bambina, che con il tabacco si faceva da solo le sigarette. Indossava sempre una canotta bianca un po’ ingiallita. Aveva tanta peluria sulle braccia. Era sempre crucciato e sedeva con la schiena curva. A farsi le sigarette passava le ore, dopodiché, in tarda sera, si alzava pesantemente sbattendo le mani sul tavolo e spostando la sedia, che alzava un filo di polvere. Scrutavo anche la cucina, dove una signora di colore cucinava, puliva e spolverava tutta la casa. Lavava violentemente anche me.  Qualche volta scivolava sul pavimento appena bagnato e io, nella mia testa, ridevo, ridevo tanto.
Ero contenta di avere Lauren. Era una bambina dolcissima e simpatica. Mi spaventava però il pensiero che una volta cresciuta mi avrebbe abbandonata, e sarei rimasta ancora su quel mobile in corridoio, mentre lei se la sarebbe spassata con il suo primo fidanzatino o con le sue amiche. E poi in fondo, che ne sa una bambina che anche le bambole hanno un cuore che si può spezzare e frantumare in mille pezzi?
Un giorno Lauren e la mamma uscirono, mentre io continuavo ad osservare il padre imbronciato. Sentii la porta sbattere. Erano tornate. Lauren aveva una busta in mano, una bustina piccola e graziosa. Si posizionò davanti a me e infilò il braccio nella busta. Tirò fuori un’altra bambola. Più bella, più nuova e più moderna. Mi scansò violentemente e mi rimpiazzò con l’altra bambolina. “Ecco la tua migliore amica”, disse allegramente. Rimasi turbata. Qualche giorno dopo la famiglia Peterson si sarebbe trasferita. La mamma di Lauren voleva che quest’ultima scegliesse tra me e la nuova arrivata. Ero già scoraggiata dalla lucentezza che vedevo negli occhi di Sofì, la bambolina nuova. E fu cosi. Lauren prese Sofì e la mise nello scatolone. Se le bambole potessero piangere, forse l’avrei fatto anche io in quel momento.
Prese però anche me, e il travagliato breve viaggio si rivelò curioso. Spalancarono la porta della mia forse futura casa. Sentii il campanellino che avevo sempre sentito. Ritornai su quella amata mensola. Lauren non mi aveva scelto, ma io ero tornata nella bottega “Ago e filo”, nella mia famiglia.

                                                                                                                 Elda Ciampi


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